Vai al contenuto

I Cristiani e Israele

drame
I.Shammout

Un problema di coscienza si pone oggi ad alcuni Cristiani a proposito dell’attuale Stato d’Israele. Gli uni, sensibilizzati dall’«olocausto hitleriano» si sono affrettati a riconoscerlo, gli altri, il piccolo numero, rifiutano di riconoscere la legittimità d’Israele per due ragioni:

1. Perché essi sono sensibilizzati dall’ingiustizia che subisce il popolo Palestinese, cacciato dalla sua Terra con la violenza.
2. Per ragioni legate alla fede in Gesù e alla testimonianza a Lui dovuta.

Essendo l’argomento di questo studio delicato e potendo suscitare delle reazioni, deve essere detto in anticipo, che il problema non sarà trattato con uno spirito «antisemita», ma in uno spirito di giustizia sociale e religiosa. Noi siamo per la libertà religiosa di tutti e ovunque, anche in Israele dove ci auguriamo che siano rimpatriati i milioni di Palestinesi esiliati, Musulmani e Cristiani, che le autorità Israeliane rifiutano di reintegrare, perché non sono Ebrei. Non è questo razzismo?!

Per chiarire il problema, bisogna porsi la seguente domanda: «Per un Cristiano cosa significa riconoscere lo Stato d’Israele?»

È riconoscere il fatto compiuto della sua presenza, o ammettere la legittimità di questa presenza in Palestina oggi?

In relazione al fatto compiuto, che è un fatto storico, non si può che constatare l’esistenza in Palestina, solo dal 1948, di un’entità politica che le Nazioni Unite, un’istituzione laica, accettarono di riconoscere come lo Stato d’Israele.

Ma che ne è della legittimità di questa presenza sul territorio Palestinese?
Per esempio: un uomo possiede un oggetto usurpato, noi riconosciamo che quest’oggetto è in suo possesso, ma possiamo noi, senza commettere una grave ingiustizia, approvare il fatto riconoscendo la legittimità di questo possesso?

Quindi, il problema di coscienza che si presenta è il seguente: «possiamo ammettere la legittimità dello Stato d’Israele in Palestina?»

Quando si parla della legittimità di uno Stato, ci si riferisce a un diritto storico su un determinato territorio. Solo nel caso d’Israele viene evocato un diritto Biblico. Parleremo dunque della legittimità storica e biblica d’Israele.

La legittimità storica

Non si trova alcun argomento storico sufficientemente valido per giustificare nel XX e XXI secolo uno Stato Israeliano in Palestina, poiché questa terra appartiene ai cittadini Palestinesi, come ogni altro paese appartiene ai propri abitanti. Milioni di Palestinesi reclamano il loro diritto storico legittimo sulla Palestina. Questi diritti sono pre-Biblici e la Bibbia menziona la Palestina e i Palestinesi. Le guerre dei Palestinesi contro gli invasori Ebrei sono ben note (1 Samuele 28).

Prima della venuta del Cristo, gli Ebrei hanno spesso cercato di formare uno Stato in Palestina. Questo prese la forma di un regno verso l’anno 1000 a.C.. Dopo meno di un secolo, però, il regno fu diviso in due: un regno del Nord in Samaria e un altro al Sud in Giudea, entrambi scomparvero. Il primo fu distrutto nel 722 a.C. dall’invasione Assira 200 anni dopo la sua formazione, e il secondo nel 586 a.C., circa 400 anni dopo la sua formazione, distrutto dai Babilonesi che esiliarono gli Ebrei a Babilonia.

Non fu che nel I secolo a.C., che il regno ebraico fu ricostituito sotto l’Impero Romano, con il re Erode il Grande nell’anno 37 a.C.. Questo regno, però, fu di nuovo distrutto dalle truppe romane di Tito nell’anno 70 d.C.. Gli Ebrei fuggirono allora dalla Palestina verso i quattro angoli della terra, mentre i Palestinesi rimasero in Palestina.

Duemila anni dopo, nel 1948, uno Stato d’Israele riapparve in Palestina, reclamando dei diritti sul paese, a scapito dei Palestinesi che vi avevano sempre vissuto. Gli Ebrei, che affluirono in Terra Santa dai quattro angoli della terra, cacciarono via i Palestinesi con la violenza. Questi dovettero abbandonare le loro case in condizioni tragiche per vivere in esilio nei paesi Arabi sotto le tende e nelle bidonville. Le grandi potenze hanno aiutato gli Ebrei a installarsi in Palestina, e hanno riconosciuto lo Stato ebraico un quarto d’ora dopo la sua proclamazione il 14 Maggio 1948, come se la Palestina e i Palestinesi non esistessero.

Eppure le prove storiche della loro esistenza abbondano (Bibliche: Numeri 13,21-33, prove sociali, culturali, folcloristiche, archeologiche: monete Palestinesi antiche e contemporanee, ecc…).

Bisogna notare che coloro che hanno sostenuto Israele si sono sentiti, in generale, colpevoli di fronte agli Ebrei; si sono adoperati dunque per sistemarli in Palestina. Ma è fare giustizia donare agli uni ciò che è stato strappato agli altri? Si può disporre di un bene altrui? Un Americano, un Inglese o un Francese, per esempio, ha il diritto di disporre di una terra Palestinese che non gli appartiene?

Una domanda: Perchè coloro che vogliono soddisfare le loro coscienze sistemando gli Ebrei in una patria non hanno dato loro una parte della propria terra europea o americana, perché essi ne potessero disporre?

A questa si risponde generalmente evocando una legittimità biblica: gli Israeliani avrebbero un diritto Biblico sulla Palestina. Ecco passati dal piano storico a quello Biblico e, nella maggior parte dei casi, a opera di persone che ignorano tutto della Bibbia.

È dunque in quanto Cristiani che gli Ebrei ci domandano di riconoscere loro un diritto Biblico sulla Palestina. Oggi il popolo di Cristo Gesù è esortato a testimoniare in favore di coloro che rinnegano Gesù. E questo in nome della Bibbia. Questa è la prova di fedeltà predetta dal Cristo per la fine dei tempi. Il Vaticano stesso ha fallito questa prova.

Il Giudaismo non è né una razza, né una terra geografica, ma è una religione che trova il suo compimento perfetto in Gesù Cristo. Per un Cristiano riconoscere uno Stato Ebraico per gli Ebrei è assurdo quanto il riconoscere uno Stato Cristiano per i Cristiani.

La legittimità biblica

Molti Cristiani sostengono lo Stato d’Israele credendo in buona fede di aiutare il «popolo eletto» sulla loro «terra promessa». Riteniamo perciò importante ricordare ciò che significano, alla luce del Vangelo, le nozioni di Terra Promessa e di Popolo Eletto.

La Terra Promessa

La Palestina non è una terra promessa da Dio agli Israeliani per due ragioni principali:

  1. La Terra Promessa è il simbolo di una realtà spirituale, non geografica.
  2. La promessa fu fatta a condizione.

La Terra Promessa è spirituale

Dio aveva promesso ad Abramo e alla sua discendenza una Terra. La nozione di questa Terra Promessa, come voluta da Dio, venne spiegata dalla Bibbia attraverso i secoli, per apparire alla fine come una realtà spirituale, non geografica. Per questo San Paolo disse: «Per fede Abramo soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la Città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (Ebrei 11,9-10).

La spiritualità della terra ha le sue radici già nel Vecchio Testamento. Così la tribù di Levi non possedeva della terra, essendo Dio stesso la sua eredità. La Bibbia dice in effetti:

«Alla tribù di Levi però Mosè non aveva assegnato alcuna eredità: il Signore, Dio d’Israele, è la loro eredità.» (Giosuè 13,14 e 33)

Inoltre il Salmo 37 (36) dice invece che i miti e i giusti possederanno la Terra, non si può dire che tutti gli Israeliani in Palestina siano miti e giusti; queste virtù si possono trovare ovunque. Infine, Gesù spiego questo fatto dicendo che il «Regno di Dio» non è un’entità visibile, ma che si trova nel cuore dell’uomo. Ai Farisei che Gli chiesero quando sarebbe apparso il Regno di Dio che, per loro, significava l’impero sionista universale, Gesù rispose:

«Il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: -Eccolo qui, o eccolo là-. Perché il Regno di Dio è dentro di voi.» (Luca 17,20-21)

Si trovano oggi, in seno al Giudaismo stesso, rabbini che sottolineano la dimensione spirituale della Terra Promessa. Questo il commento del grande rabbino Jonathan Eybeschutz: «È scritto: ‘Abiterete nella terra che Io diedi ai vostri padri’ (Ezechiele 36,28). L’Eterno aveva promesso ad Abramo di dargli la terra di Canaan; ma quando Sara morì, egli non possedeva nemmeno un terreno per seppellirla. Come si realizzò, allora, la Promessa? Vi sono due terre che recano il nome d’Israele: la Terra d’Israele di Lassù e quella d’Israele di quaggiù. La Terra Santa è la Terra Celeste, dove vi è il Palazzo Divino, da cui traboccano le sorgenti della Saggezza. È questa Terra spirituale che è stata promessa e data ai nostri padri, non quella geografica» («Il Regno di Dio e il regno di Cesare», del rabbino Emmanuel Levyne, edizioni «Le Reveil», Beirut).

Quanto ai discendenti di Abramo, gli eredi della Terra Promessa, anche questa è una nozione spirituale. Un Cristiano non deve cercarli in una genealogia storica ed etnica come un’eredità di padre in figlio, ma secondo la fede nel messianismo di Gesù. San Paolo infatti disse: «E se appartenete a Cristo, allora, siete discendenza di Abramo, eredi secondo la Promessa» (Galati 3,29).

Così per un Cristiano gli Ebrei che rifiutano di riconoscere Gesù come Messia, attendendone un altro, non devono essere considerati come discendenti di Abramo, né eredi della Terra promessa, sia essa spirituale o materiale.

La promessa è condizionata

Dio diseredò gli Ebrei anche prima della venuta di Gesù Cristo perché la Terra fu promessa alla condizione di fedeltà all’Alleanza; questa condizione non fu rispettata, l’Alleanza fu così rotta dagli Ebrei. Dio annunciò allora una Nuova Alleanza, quella stabilita da Gesù che gli Ebrei ancora rifiutano.

La condizione

Supponiamo che la Terra Promessa sia un luogo geografico, non dobbiamo dimenticare che fu promessa a condizione. Difatti, Mosè aveva detto agli Ebrei: «Se non cercherai di eseguire tutte le parole di questa Legge… allora il Signore colpirà te e i tuoi discendenti con flagelli prodigiosi…».

La congiunzione «se» dimostra che la promessa è condizionata. Mosè proseguì dicendo: «Perché non avrai obbedito alla voce del Signore tuo Dio il Signore gioirà a vostro riguardo nel farvi perire e distruggervi; sarete strappati dal suolo che vai a prendere in possesso…» (Deuteronomio 28,58-64).
È dunque chiaro che in caso di tradimento, non solo non è più questione di terra, ma di castighi dolorosi e di espulsione da questa terra, per gli Ebrei e i loro discendenti. Questi furono i termini dell’Alleanza.

L’Alleanza infranta

Gli Ebrei non rispettarono le condizioni dell’Alleanza. La Bibbia rivela esplicitamente che essi tradirono Dio adorando gli idoli dei paesi vicini, offrendogli anche i loro figli in sacrificio, imitando così i costumi pagani (vedere 1 Re 16,30-34 / Geremia 7,30-32). Ugualmente il Salmo 106 (105) traccia il bilancio delle infedeltà del popolo ebraico: «Si ribellarono contro l’Altissimo… Si fabbricarono un vitello (d’oro) sull’Oreb… Si asservirono a Baal-Peor… imitarono i pagani e servirono i loro idoli… immolarono i loro figli e le loro figlie agli dei falsi…».

Ecco perché Dio, parlando per mezzo dei profeti, scagliò la sua collera contro Israele:
«Udite questo, dunque, capi della casa di Giacobbe, governanti della casa di Israele, che aborrite la giustizia e storcete quanto è retto, che costruite Sion sul sangue e Gerusalemme con il sopruso…dicendo: ‘Non è forse il Signore in mezzo a noi?’ Per ciò per causa vostra Sion sarà arata come un campo e Gerusalemme diverrà un mucchio di rovine, il Monte del Tempio un’altura selvosa…» (Michea 3,9-12).

Dio disse ancora nel libro d’Isaia: «Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il Mio popolo non comprende. Guai gente peccatrice, popolo carico di iniquità! Razza di scellerati, figli corrotti, hanno abbandonato il Signore» (Isaia 1,2-4).

Rottura e Nuova Alleanza

Dopo avere denunciato l’infedeltà d’Israele, Dio dichiarò per mezzo di Geremia la rottura dell’Alleanza con gli Ebrei. Dio annunciò la venuta di una Nuova Alleanza che non sarebbe stata come la prima, poiché la parte del credente non è una terra, ma Dio Stesso: «Ecco verranno giorni, dice il Signore, nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda, Io concluderò un’Alleanza Nuova. Non come l’Alleanza che ho conclusa con i loro padri…un’Alleanza che essi hanno violato… Questa sarà l’Alleanza che Io concluderò con la casa di Israele…: Porrò la Mia Legge nel loro animo, la scriverò nel loro cuore; allora Io sarò il loro Dio ed essi il Mio popolo» (Geremia 31,31-33).

È ovvio che questa Nuova Alleanza differisce dalla prima, poiché non sarà «come l’Alleanza che ho conclusa con i loro padri». Una delle differenze risiede nel fatto che essa non promette nessuna terra geografica, ma che in compenso è Dio che si dà a tutti quelli che credono in Gesù, Fondatore della Nuova Alleanza.

Gli Ebrei rifiutano ancora l’Alleanza del Cristo, perché essa non promette loro nessuna terra geografica, né concede loro il «privilegio» di stabilire l’impero mondiale Sionista che si augurano.

Il popolo eletto

L’elezione divina non ha mai avuto come oggetto un popolo ebraico come certi ancora pensano, la scelta di Dio si è fermata su un uomo, Abramo il Siriano, e non su una nazione ebraica che non esisteva prima di Abramo. È dunque falso credere che il Giudaismo sia una razza; per questo la Bibbia ricorda agli Ebrei che il loro antenato Abramo era arameo, cioè un Siriano. Mosé insistette su questo punto dicendo agli Ebrei: «Tu pronuncerai queste parole davanti al Signore tuo Dio: Mio padre (Abramo) era un Arameo…» (Deuteronomio 26,5).

Lo scopo della scelta di Abramo era formare un ambiente sociale per accogliere il Messia. Lo scopo non era il popolo dunque, ma il Cristo che «venne fra la sua gente, ma i suoi non L’hanno accolto» (Giovanni 1,11).

Ma a tutti quelli che hanno ricevuto Gesù come Messia, indipendentemente della loro razza, «ha dato loro il potere di diventare figli di Dio» (Giovanni 1,12), e di formare così il popolo universale di Dio. Secondo il Vangelo, il popolo di Dio è quello di Gesù.

D’altronde Gesù disse agli Ebrei:

«Se infatti non credete che Io sono (il Cristo) morirete nei vostri peccati» e ancora: «Se Dio fosse vostro Padre certo Mi amereste…». Dichiarò loro infine: «voi che avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro.» (Giovanni 8,24-44)

Che cosa dicono loro oggi i cosiddetti Cristiani?… «Voi siete i nostri fratelli maggiori» ha detto loro Papa Giovanni Paolo II nella sinagoga di Roma. Come possono un discepolo di Gesù e il suo rinnegatore essere fratelli?

«Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo; poiché chi lo saluta partecipa alle sue opere perverse.» (2 Giovanni 2,10-11)

Per Gesù, di cui noi siamo i testimoni, il vero Giudeo è il discepolo di Gesù. Nell’Apocalisse Gesù non denuncia gli Ebrei come «falsi Giudei e una sinagoga di Satana?» (Apocalisse 2,9 e 3,9).

Ecco perché San Paolo disse: «E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la Promessa» (Galati 3,29). Egli invita dunque gli Ebrei a credere in Gesù per essere «innestati» nel popolo di Dio (Romani 11,23).

Non è dunque questione di respingere gli Ebrei in quanto persone, ma Israele in quanto Stato. Gli Ebrei, al contrario, sono invitati a seguire Gesù per fare parte del popolo di Dio. L’Amore e la Verità ci incitano a non farli affondare nel loro errore, lasciandoli credere che siano ancora il Popolo Eletto, di ritorno sulla sua Terra Promessa.

Questo perchè dobbiamo capire che gli Ebrei, che continuano a negare che Gesù sia il Cristo, recano la caratteristica specifica dell’Anticristo annunciato da San Giovanni: «Chi è il Menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo? Eccolo l’Anticristo» (1 Giovanni 2,22).
Tutti i Cristiani e i Musulmani riconoscono che Gesù sia il Cristo. Troviamo persino nel Buddismo e nell’Induismo discepoli di Gesù. Gandhi parlava spesso della sua ammirazione per Gesù, e non nascondeva il suo disappunto verso i Cristiani, aveva detto: «Datemi Gesù e tenetevi i Cristiani per voi».

Le profezie di San Giovanni sull’Anticristo non possono essere applicate a coloro che riconoscono che Gesù sia il Cristo, ma a coloro che rifiutano il suo messianismo. Questa caratteristica non si applica che agli Ebrei che, esplicitamente, rinnegano Gesù e aspettano un altro Messia. Essi sono l’Anticristo.

Non bisogna meravigliarsi del fatto che gli Ebrei che non credono in Gesù non siano il popolo eletto. Gesù aveva detto a proposito di un ufficiale romano che manifestava la sua fede in Lui:

«In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora Io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel Regno dei Cieli, mentre i figli del regno (d’Israele) saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti.» (Matteo 8,10-12)

L’opposizione tra il Regno di Dio e quello d’Israele è il centro della controversia tra Gesù e gli Ebrei; questa opposizione si manifesta nelle parole del Cristo quando Egli denuncia i figli del regno d’Israele condannandoli alle tenebre esteriori (Matteo 8,11).

Così, con la venuta di Gesù il concetto di popolo eletto è cambiato da quello tribale e fanatico a una nozione universale. Per questo Gesù condanna i «figli del regno» di Israele che hanno voluto interpretare il Giudaismo in modo nazionalista: «Voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro» (Giovanni 8,44). Coloro che hanno per padre il diavolo non possono essere i «fratelli maggiori» di quelli che hanno Gesù come Padre.

Questa è la ragione per cui Gesù si è sempre rifiutato di essere il re di un Impero sionista, Egli aveva detto: «Il Mio Regno non è di questo mondo» (Giovanni 18,36). (Vedere il testo: «Il Dramma di Gesù»).

I profeti avevano già esteso l’elezione ai popoli di tutte le razze. Isaia otto secoli prima di Cristo aveva proclamato quest’oracolo di Dio: «Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue… anche tra essi mi prenderò sacerdoti e leviti» (Isaia 66,18-21). Così, la scelta di ministri del culto tra le nazioni non ebraiche, come praticato dai Cristiani, è una prova dell’autenticità del sacerdozio universale di Gesù.

Cosa dunque concludere?

San Paolo risponde: «Che dire dunque? Israele non ha ottenuto quello che cercava; lo hanno ottenuto invece gli eletti» (Romani 11,7).
Ora sono eletti i discepoli di Gesù.

Israele segno dei tempi

Poiché gli Ebrei che sono radunati oggi in Palestina dai quattro angoli della terra non sono il Popolo Eletto sulla sua Terra Promessa, che cosa significa dunque la riapparizione d’Israele?

È un segno dei tempi.

Si parla spesso dei segni dei tempi, senza precisare di quali tempi si tratti. Questa espressione evoca la «fine dei tempi».
Parlando di questi tempi, Gesù aveva detto: «Gerusalemme sarà calpestata dai Pagani (gli Israeliani) finché i tempi dei pagani siano compiuti» (Luca 21,24). Israele incarna dunque il paganesimo per il suo rifiuto del Cristo.
Dopo la venuta del Cristo Gesù, i Pagani sono dunque quelli che rinnegano che Gesù sia il Cristo; essi sono il simbolo del paganesimo nelle sue diverse manifestazioni, l’Anticristo per eccellenza.

Quando gli Ebrei ordinarono agli Apostoli di non parlare di Gesù, questi, pregando, dissero a Dio: «In questa città si radunarono insieme contro il Tuo Santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e Ponzio Pilato con le genti e i popoli di Israele» (Atti 4,27).

La parola «contro» rivela lo spirito dell’Anti-Cristo che dimora nei «popoli (goyms) d’Israele», «i popoli» aventi il senso di «Pagani d’Israele». (Vedere il testo: «L’Anticristo ieri e oggi»).

Gli Ebrei vogliono far credere che il loro ritorno in Palestina sia un «grande segno» e il prodigioso compimento delle profezie dell’Antico Testamento. Ora noi sappiamo che le profezie in questione riguardano il ritorno degli Ebrei dall’esilio babilonese nel VI secolo a.C. Non lasciamoci ingannare.

È difatti piuttosto il tempo di comprendere le profezie del Nuovo Testamento che ci parlano della fine dei pagani. Potremo così comprendere chi sono questi Pagani. Gesù ci aveva detto che «l’abominio della desolazione starà nel Luogo Santo» (Matteo 24,15). Peraltro, l’Apocalisse rivela ancora che l’Anticristo riunirà i suoi uomini nei luoghi santi, in Palestina, e particolarmente nella Città amata, Gerusalemme, dove essi sono riuniti da Satana, e non da Dio, dai quattro angoli della terra, per la guerra e non per la pace (Apocalisse 20,7-9). (Vedere il testo: «La Chiave dell’Apocalisse»).

L’atteggiamento di ogni vero Cristiano

Quale deve essere infine l’atteggiamento del Cristiano devoto al Cristo verso l’attuale Stato d’Israele?

È il momento di meditare, per metterle in pratica, queste parole che l’Apocalisse indirizza a coloro che si credono ancora testimoni di Gesù:

«Tu devi profetizzare di nuovo contro molti popoli, nazioni…» (Apocalisse 10,11)

Se il Signore comanda ai suoi Apostoli, in questi tempi apocalittici, di profetizzare «di nuovo», è perché la maggior parte di essi si è lasciata sedurre dall’Anticristo che non ha riconosciuto. Invece di denunciarlo, ha stabilito con lui ottime relazioni.
L’Apocalisse, quindi, ricorda loro il loro dovere di Apostoli e di testimoni di Gesù: dopo esser rimasti in silenzio, essi devono, oggi, testimoniare di nuovo contro il suo nemico: Israele.

Quando è venuto il Cristo, i suoi non L’hanno ricevuto. Oggi «i suoi» ricevono l’Anticristo…

Nessun Cristiano può riconoscere la legittimità di uno Stato ebraico in Palestina senza rinnegare se stesso come Cristiano; perché sarebbe ammettere implicitamente che i discepoli di Gesù non siano l’Israele profetico e che Gesù non sia il Cristo. Gesù aveva detto: «Nessun uomo può servire due padroni». Non si può servire il Regno di Gesù e quello d’Israele allo stesso tempo. Non si può salvaguardare la nostra testimonianza al Messianismo di Gesù senza denunciare il falso messianismo d’Israele. Gli Ebrei lo sanno, e i Cristiani lo ignorano.

In una questione così importante, la neutralità o il silenzio denotano la tiepidezza: «Tu non sei né freddo, né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo. Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo, né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» dice il Signore in Apocalisse 3,15.

Una scelta deve dunque essere fatta, e noi saremo giudicati secondo il nostro impegno: non è riconoscendo Israele che un cristiano rimane fedele alla sua testimonianza, ma invitando gli Ebrei a riconoscere Gesù.

Pierre (1978)

Copyright © 2024 Pierre2.net, Pierre2.org, All rights reserved.